alefanti

parole allo specchio


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Insieme

Lo raccontai come fossimo già tutti morti
e le parole epitaffi
per il pennuto cacciatore instancabile
per il guizzante argenteo
per lo striato
per il quasi trasparente
evidentemente il primo
ad accettare di essere un fantasma
Per me, che preparavo la conservazione
delle mie spoglie nel sale
Raccontai ogni cosa come non ci fosse più
il respiro, il battito, il contrarsi del muscolo
se non nel ricordo che lo spirito conservava
mentre passava leggero sull’acqua
che una volta riempì, volenteroso, di vita
E triste accarezza ancora


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Novembre al mare

Fuori dall’acqua da un minuto

mostro un tanto di pelle nuda

quello necessario per rivelare

i danni irreversibili degli anni vissuti

È una forma di vanità anche questa:

esibisco la spudoratezza dell’essere oltre il guado

Lo sguardo va dritto allo scopo

provocare imbarazzo o complicità

È evidente che dipende da chi sta aldilà dell’obiettivo

il risultato che raggiungerò

La libertà può essere condivisa senza diminuire

Sotto la mascherina, il sorriso è il meteo che indica tempo stabile


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Maria (chiunque sia)

E’ vecchia. Irreparabilmente.
Se la mente fosse quella di un tempo
sarebbe profumata e asciutta
nonostante il caldo insano della stanza.
Indosserebbe un abito troppo largo
per il recente dimagrimento
ma stirato e teneramente fuori moda.
I capelli virerebbero dal grigio verso l’azzurro.
La gentilezza prudente
direbbe del lavoro di tanti anni fa,
consuetudine a rapporti formali distaccati,
lo sguardo dolce racconterebbe
una lunga frequentazione con i nipoti,
senza la brusca affettuosa preoccupazione
di chi ha cresciuto dei figli, suoi, strapazzandoli un po’.
Non c’è nulla di tutto questo nel corpo seminudo,
il vestito sbottonato da mani impensabilmente agili,
zuppo di liquidi sfuggiti al controllo,
è involucro preparato da altri.
Le membra sparse di bambola rotta
negano il passato di compostezza.
E’ strisciata giù dal materasso,
difficile crederci quando è immobile,
con determinata ferocia contro le regole.
La voce si alza potente
mentre chiama affetti già decomposti
ma a lei del tutto presenti.
Corriamo ai ripari con una fatica straziata
e incapace di nascondere disgusto e incredulità.
Lavata nonostante resista.
Ricomposta in sembianze umane.
Si torna a respirare dopo aver tolto dal pavimento
resti di cibo sputato e feci sparse dal lavorio continuo
per liberarsi da argini pietosi al suo non poter più,
strumenti innaturali quando era ancora umana.
E’ agitata.
Ringrazia di continuo per favori inesistenti.
Si ostina in richieste di autonomia impossibile.
E’ stanca ma non cessa di muoversi.
A tratti sembra spegnersi. Pochi secondi di nulla.
Viene da cercarne il sollevarsi del petto
a conferma dell’essere viva.
Lo è. Come non so dire.
Muove compassione assoluta e desiderio feroce di fuga.
Essere altrove. Sperare di dimenticare.
Ai miei no. Ti prego, mio Dio.

2011


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A te, poeta

Clemenza
come una culla che accoglie riposa e consola
E poi il mistero
il dono bello che non si consuma
Ti leggo e non so nulla
Ti leggo e so che sei per me
amore che non passa incastonato e vivo
Ti ho vista camminare sulle dita minuscole del mare
farti peso leggero di abbraccio ad ogni passo
Dagli occhi che volano alla sabbia e all’acqua
lei è – tu lo sai bene – chimica degli intrecci e oltre
eri luce di figlia, pasta di festa a lievitare
cominciare del respiro dopo un sogno
Oggi ti penso dentro un mattino altrove
affaccendata ad esistere, bellissima
Sono ghiande sul sentiero
spreco umile e prezioso
i baci che non ti ho dato
Il colore dei fiori che buca la notte
è il marchio della tua voce
Scaglie di rose cadono dagli occhi
le api ancora dormono, il miele è lontano
niente dolce per me stanotte
Aggiungo parole come ghirlande
avanza la processione sulla strada
Santa non sei, eppure


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Carne

È la medesima carne:
la mostrai in piena luce agli occhi di un ragazzo
che sarebbe stato uomo un giorno
in un tempo così lontano
che più non pare vero
ma solo il fotogramma di un vecchio film
di cui ho scordato la trama
È la medesima carne:
le cellule non sono più le stesse
lontanissime parenti dopo mille generazioni ed altre mille
la grana della pelle faticheresti ad associarla
a quella che – elastica – riempiva le sue mani fortunate
non ha più quello slancio a fremere di un tocco
È la medesima carne:
sente ancora il freddo e sa dirtelo in brividi
patisce ancora il caldo e te lo dice in acqua
che rende in gocce piccole quando altro non può per rinfrescarsi
La curva dietro il collo denuncia
la fatica di portare dentro la testa
tutti i pensieri e i loro voli arditi
anche se leggera la fa l’avvicinarsi del traguardo
È la medesima carne:
il comune destino del disfarsi
dice fratello ad ognuno che passi accanto
o lontanissimo viva
la voce che la abita sogna di sopravviverle
ma non lo sa con certezza
per questa povertà ogni tanto si smarrisce
e piange
È la medesima carne:
volerle ancora bene come ad un’amica
mi viene naturale e insieme strano
come per l’imbarazzo verso qualcuno
che ho trattato male senza una ragione


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Non trovo e mi manca

Non trovo più quel lampo che affrettava il sangue sulle sue vie
e metteva un sorriso vicino alla giacca
perché lo indossassi sulla soglia prima di uscire
Non so dove io l’abbia perduto
sono stata negli anni molto in giro
Non ricordo se l’abbia conservato in un cassetto dopo un momento duro
per la fatica di togliermi dagli occhi quella sua immagine persistente
al punto che ho dovuto strapparla a forza dal cuore
Non so se l’ho gettato con rabbia sull’asfalto che correva sotto le ruote
fuggendo dalla noia verso il sollievo della solitudine
Il fatto è che non lo trovo
e ciò che più dispiace è che mi manca
il pronto “anch’io” che mi si scioglieva in bocca
nel leggere l’ennesima, inutile, poesia d’amore


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FARÒ DI TE

“Farò di te la mia femmina
piegando la tua carne di maschio
con carezze e invasioni
Saprai di averlo sempre desiderato
sarai posseduto e arreso
E poi ancora”
Così diceva la perfida poesia
ed erano passati dei begli anni da allora
da quel primo desiderio contro la pace
contro l’essere nel posto e nel modo giusto
Anni e poi? Nulla era tornato come prima
Aveva capito in quei tempi
che indietro è parola stupida
se si parla dell’umano
Nulla e nessuno torna indietro
Avanti è l’unica opzione davvero disponibile
E quell’uomo con cui aveva riso a cena
l’aveva capito subito che qualcosa nell’aria
la spingeva in quella direzione
Non c’era scelta
Accade ciò che accade
Nella leggerezza dell’oggi
E poi?
Anche lui si sarebbe fatto prendere dalla paura
ammantandola di buone ragioni
Era un copione noto
Niente di cui piangere
anche se ogni volta in fondo
sperava in un finale differente
in cui l’allegria contagiava i corpi
e guariva le anime


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Tu sei dei fiori il sogno

Tanto diversa quando vai al tuo fare
e così simile nella domanda buia
sempre la stessa che mi fai ti faccio

Parola d’ordine per la porta stretta
ci canta il mistero della carne
che non conosce più la sua distanza

Ad ogni strofa che ci vede insieme
nel girotondo da bambina a figlia
lo spazio non, né l’abbandono abita

Liete passano le madri del mondo
a farci il coro
Tu sei dei fiori il sogno
che corre lungo i giorni
verso il destino frutto


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CI SVEGLIAMMO

Ci svegliammo un mattino senza voglia di domani
contammo fino a dieci prima di sparare
al nove c’era la luce a dirci di aspettare
contammo fino a cento annodando la corda
cercando il ramo forte da cui farci vessillo
del male da sfuggire
la voce ci mancò portata via dal vento
prima di finire, prima di trovarlo
Contammo fino a mille
mischiando tutti i veleni
per essere certi di non cambiare idea
quando il buio agli occhi avesse detto sì
ci volle troppo tempo e il letto era vicino
ci addormentammo a sasso
il corpo non ragiona
Dopo le molte ore
di nuovo era mattino
ma il sole era già alto
ci sembrò ovvio
accendere il forno
impastare la farina
cuocere un pane nuovo
Durerà fino a domani o dopo
non lo posso sprecare
ci venne da pensare
Ci venne da pensare
ai campi al contadino alle spighe
a tutto quel che chiedono
a tutto quel che danno
alla fatica bella che avevamo nelle mani
quando il profumo del pane
si posò come una ghirlanda
sull’aria, nel respiro
su un giorno poco più in là
che desiderammo conoscere